ilariakaterinov: Intervista per Zai.net
La rivista Zai.net, distribuita gratuitamente nelle scuole superiori di tutta Italia, mi ha intervistata per il numero di aprile 2008, a proposito della traduzione di Harry Potter.
Trovate l’intervista a pagina 40-41 del numero di aprile 2008, scaricabile in pdf da questa pagina.
Di seguito, il testo dell’intervista:
Come mai hai deciso di scrivere un saggio sulle traduzioni di Harry Potter?
Qualche anno fa avevo presentato una tesina su questo argomento per un esame di teoria della traduzione; dopo l’esame avevo pubblicato quelle venti pagine sul mio sito, ripromettendomi di aggiornarle prima o poi (analizzavano solo i primi cinque romanzi della serie). Un giorno però ho ricevuto un’email dalle ragazze della casa editrice Camelopardus, che avevano scoperto per caso il mio sito e mi proponevano di trarre un libro da quelle venti pagine, adattando stile e terminologia per renderlo fruibile anche a un lettore digiuno di traduttologia e di lingua inglese.
Quali sono gli aspetti più interessanti che hai scovato andando a studiare le traduzioni italiane dei testi di J.K. Rowling?
Mi sono divertita soprattutto ad analizzare i giochi di parole, l’uso dei vari dialetti dell’inglese, e naturalmente la traduzione dei nomi. Tutte questioni che devono aver dato non pochi grattacapi ai traduttori dei vari Paesi, non ultime le traduttrici italiane. Ho trovato interessante occuparmi dei giochi di parole e delle frasi idiomatiche perché, essendo traduttrice anch’io, ero consapevole delle difficoltà poste da quegli autori che, come la Rowling, fanno dell’inventiva linguistica un tratto peculiare del proprio stile. I romanzi di Harry Potter sono pieni di neologismi, anagrammi, doppi sensi, personaggi che parlano con un accento particolare (pensiamo a Hagrid, o a Mundungus, o Stan Picchetto): in molti casi gli accenti non sono traducibili, e infatti Hagrid, per esempio, nella traduzione Salani parla un italiano quasi perfetto, a parte qualche congiuntivo che “salta”. E anche tanti giochi di parole non sono stati tradotti, e qualche neologismo è stato tradotto male. Un vero peccato, perché molto del fascino di questi libri risiede proprio nel modo in cui J.K.Rowling sa giocare con la lingua inglese.
E’ una grossa responsabilità mantenere intatto il significato e le suggestioni delle parole; come ci si riesce, e quando si devono fare modifiche importanti?
Solo quando è indispensabile. E’ compito del traduttore rispettare il testo originale e le intenzioni dell’autore; ma anche rispettare il lettore, cioè non sottovalutare la sua intelligenza e le sue capacità di comprensione: cosa che purtroppo avviene spesso nei libri per ragazzi. Se la Rowling ha ritenuto che i suoi lettori fossero in grado di comprendere un certo riferimento o una certa frase, il traduttore non deve permettersi di “chiarire”, “spiegare”, semplificare il testo. Non è il suo mestiere. Non a caso un altro grande autore di fantasy, Terry Pratchett, ha detto una volta che ai ragazzini di dodici anni bisognerebbe far leggere i libri pensati per ragazzi di quattordici o quindici anni: perché i lettori, soprattutto i più giovani, hanno bisogno di stimoli, di sfide.
Poi naturalmente capita di dover fare qualche modifica, magari perché un gioco di parole basato sulla pronuncia inglese non “torna” in italiano. In questi casi si attiva un meccanismo di “perdita e compensazione”: se perdo per strada una citazione nascosta o un gioco di parole, dovrei riuscire a infilarne uno analogo in un altro punto del libro. Cosa più facile a dirsi che a farsi, naturalmente.
Come ben sappiamo, alcuni nomi dei protagonisti sono diversi dalla versione in lingua originale; con quale criterio sono stati “tradotti” in italiano?
Stando alle dichiarazioni di una delle traduttrici, Beatrice Masini, pare non ci sia stato un criterio unico alla base della traduzione dei nomi: si è deciso di volta in volta, in base al contesto. In effetti, tra un romanzo e l’altro si riscontrano atteggiamenti molto variabili rispetto alla necessità di tradurre i nomi propri: nei primi due libri vengono tradotti quasi tutti, ma per esempio nell’Ordine della Fenice i nomi dei nuovi personaggi (Umbridge, Kreacher, Shacklebolt, Lovegood…) restano tutti in inglese. Alcuni sono stati tradotti e altri no; alcuni nomi inglesi sono stati trasformati in nomi italiani (per esempio Dumbledore/Silente, Filch/Gazza), mentre alcuni sono stati sostituiti con altri nomi inglesi (o che suonano inglesi), che forse le traduttrici ritenevano più facili da pronunciare e ricordare: per esempio McGonagall/McGranitt.
Quanto tempo può richiedere una traduzione del genere?
Parecchio, compatibilmente con i ritmi frenetici dell’editoria italiana, che talvolta vanno a scapito della qualità del lavoro. La Masini ha dichiarato di aver impiegato due mesi per tradurre il Principe Mezzosangue: tempi un po’ stretti per un romanzo di seicento pagine. Tant’è vero che per l’Ordine della Fenice, che è più lungo, il testo è stato diviso fra tre traduttrici. Poi, naturalmente, tra la consegna da parte del traduttore e il momento in cui il libro va effettivamente in stampa, ci sono tutte le fasi intermedie di revisione, rilettura e correzione di bozze, che portano via parecchio tempo. E in queste fasi la traduzione viene ulteriormente modificata, perfezionata. E’ importante tenerlo presente: quello che leggiamo nel libro stampato non è esattamente il testo redatto dal traduttore, ma la somma delle sensibilità culturali e linguistiche di tutte le persone che lo hanno riletto ed editato nel frattempo, in casa editrice.
Quale dei sette libri è stato secondo te più complesso nella traduzione? E quale secondo te il meglio tradotto?
Dal punto di vista lessicale, immagino che il più difficile sia stato il primo. La traduttrice e l’editore hanno dovuto prendere una serie di decisioni: quali nomi tradurre e quali no, se e come tradurre i neologismi (Quidditch, Muggle/Babbano…) il tutto senza sapere come si sarebbe sviluppata la trama nei romanzi successivi, e quali dettagli si sarebbero rivelati importanti. Inevitabile, quindi, che sia stato commesso qualche errore. Ma i libri successivi pongono problemi di altro genere: poiché la storia è narrata dal punto di vista di Harry, man mano che il ragazzo cresce lo stile narrativo si fa più ricco e complesso. Per rispecchiare questa progressione, l’ideale sarebbe stato affidare la traduzione di tutta la serie a una sola persona. Quanto alla traduzione migliore, a mio avviso è quella dell’Ordine della Fenice, che nel complesso mi sembra più rispettosa del testo originale, anche grazie alla scelta di non tradurre i nomi dei nuovi personaggi. Negli ultimi due romanzi mi pare ci sia stata un’inversione di rotta da questo punto di vista.
Quali sono gli errori più eclatanti?
A parte quello che dà il titolo al mio libro - uno degli Horcrux, il “locket”, tradotto “a orecchio” come lucchetto, anziché medaglione - credo che l’errore più serio, quello più gravido di conseguenze per i libri successivi, sia consistito nell’usare la stessa parola - Mezzosangue - per tradurre sia “Half-Blood” sia “Mudblood” e, a volte, “Muggleborn”. Si è generata una gran confusione nella mente dei lettori italiani, perché i concetti espressi da quelle parole sono molto diversi, e in italiano non risulta chiara la differenza tra un mago figlio di due babbani, un mago figlio di un mago e una babbana, e le varie combinazioni possibili. “Mudblood”, poi, è un insulto razzista molto pesante, ma la traduttrice ha scelto di mantenere la parola “mezzosangue” con l’aggiunta dell’aggettivo “sporco/a”. Forse sarebbe stato meglio inventare una parola italiana, come la Rowling ne ha coniata una in inglese.