ilariakaterinov: Lucchetti babbani alla Mondadori di Milano: il video!

La sera del 4 gennaio 2008 si è svolta al Mondadori Multicenter di Milano (Piazza Duomo) la serata speciale per l’uscita di Harry Potter e i Doni della Morte. Erano presenti: Marina Lenti, autrice di L’Incantesimo Harry Potter; il gruppo di animazione/cosplay GrimmauldPlace12; Franco Clun, direttore di FantasyMagazine; Chiara Codecà, illustratrice.

Di seguito, il video e la trascrizione del mio intervento, in cui ho presentato i contenuti di Lucchetti babbani e medaglioni magici.

Per vedere il video a dimensioni maggiori, ecco il link originale su Blip.TV.

Trascrizione

Per ingannare l’attesa mentre aspettiamo di scoprire – e io non vedo l’ora di scoprirlo, stanotte – come sono state tradotte certe cose nel settimo libro (cose che non vi dirò per non spoilerare), pare che io vi debba spiegare in cinque minuti di cosa parla il mio libro.

Si dà il caso, infatti, che io abbia scritto un… libercolo, un opuscolo, un pamphlet (libro è una parola grossa) sulla traduzione italiana di Harry Potter.

E siccome l’edizione Salani di HP è stata oggetto di qualche critica in questi anni, mi sembra sia il caso di precisare fin da subito che lo scopo del mio libro – e di quel che mi appresto a dirvi ora – non è parlar male delle traduttrici di HP. Non mi piace parlar male dei traduttori per il motivo alquanto ovvio che anch’io sono una traduttrice; e il mio intento è appunto quello di mostrare ai non addetti ai lavori quant’è difficile fare il mio mestiere. Quante trappole, quante insidie.

Mi è sembrato che HP mettesse in luce piuttosto bene tante di quelle trappole e insidie, perché sono libri che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono molto difficili da tradurre:

  • perché sono pieni zeppi di neologismi, cioè parole inventate di sana pianta dalla Rowling (e da tradurre con altrettanti neologismi: babbano, schiantesimo, nottetempo, animagus…);
  • perché alla Rowling piace giocare con la lingua inglese, escogitando anagrammi e giochi di parole;
  • perché i nomi dei personaggi in molti casi sono nomi “parlanti”, cioè nascondono doppi sensi e riferimenti, quindi si pone il problema se tradurli o no;
  • perché i vari personaggi parlano in modo diverso tra loro: Silente si esprime in un perfetto inglese, mentre Hagrid o Stan Picchetto, come potete immaginare (e dico “immaginare” perché dalla traduzione italiana non è che si capisca molto) parlano un inglese dialettale, ricco di forme colloquiali.

Dunque, nel libro cerco di spiegare – a tutti, anche a chi l’inglese non lo sa – quanto è ricco il testo originale della Rowling, e perché purtroppo questa ricchezza non “rende” del tutto, o non fino in fondo, in un’altra lingua.

Purtroppo la traduzione non è una scienza esatta; tradurre non significa solo far passare un testo da una lingua a un’altra, trasferirlo, ma richiede di mediare tra due culture, due mondi, due strutture mentali. Comporta, in teoria, la necessità di riprodurre nella lingua di arrivo lo stesso “effetto”, lo stesso “senso” che l’autore ha voluto dare al testo originale. Nel caso di libri come quelli di HP, che sono profondamente immersi in un contesto culturale britannico, la sfida è quasi impossibile da vincere.

C’è poi un altro fattore che complica ulteriormente la vita ai poveri traduttori: un’eterna spada di Damocle. Il fatto cioè che i primi 6 libri sono stati tradotti senza avere la minima idea di come si sarebbe sviluppata la trama. La decisione di tradurre o non tradurre un nome, un gioco di parole, un anagramma, un doppio senso – poteva avere conseguenze imprevedibili nei libri successivi. Come sappiamo, la Rowling ha l’abitudine (il brutto vizio, direbbero forse i suoi traduttori) di citare così, di passaggio, un nome o un oggetto, che poi tre libri dopo acquisterà grande importanza per la trama. È questo il caso, per esempio, dell’errore di traduzione che dà il titolo al mio libro: nell’Ordine della Fenice la Rowling menziona en passant un medaglione di cui poi sentiamo parlare nel sesto libro, e che potrebbe rivelarsi un oggetto ben più importante nel settimo. “Medaglione” in inglese si dice “locket”, e la traduttrice – per fretta, per distrazione, per assonanza, ha tradotto “lucchetto”, mentre in realtà si tratta di un ciondolo da appendere al collo: un gioiello. Se quel piccolo oggetto fosse rimasto solo uno dei tanti cimeli di famiglia a Grimmauld Place 12, l’errore non avrebbe avuto conseguenze. Invece guarda caso – sfortuna ha voluto che la traduttrice sia andata a sbagliare proprio il nome di un oggetto che avremmo rivisto in seguito.

A questo punto la Salani, quando tanti lettori hanno scritto per segnalare l’errore, ha dovuto correggerlo nelle ristampe successive dell’Ordine della Fenice; con il risultato che, oggi, alcuni di noi hanno in casa una copia del quinto libro che dice “lucchetto”, mentre chi l’ha comprato dopo si ritrova con il medaglione. Di casi come questo ne sono successi tantissimi – un altro esempio sono i goblin, creature magiche che ora si sono estinte perché la Salani li ha trasformati tutti in folletti.

E questo mi conduce a una precisazione su cui non insisterò mai abbastanza: la pubblicazione di un libro è il risultato di un lavoro di squadra, una vera e propria catena di montaggio: quello che leggiamo nel libro rilegato non è quasi mai il testo così com’è uscito dalla penna del traduttore. In casa editrice, quel testo verrà riletto da più persone, redattori e correttori di bozze. Ognuna di queste persone apporterà al testo alcune modifiche, dettate dalla propria sensibilità linguistica personale. E in ciascuna di queste riletture successive si può intrufolare l’errore, l’orrore, o l’invenzione geniale. Ma alla fine, il nome sul frontespizio è quello del traduttore, e non altri.

Questo per dire: sarebbe stato troppo facile per me puntare il dito e compilare un elenco di errori: e probabilmente sarebbe risultato noioso per i lettori, oltre che ingiusto verso i diretti interessati. Invece di giocare ad attribuire qua e là la colpa di ogni errore e il merito di ogni invenzione arguta, mi è sembrato più interessante riflettere su come e perché si può spezzare quel delicato equilibrio che lega l’intenzione di JK Rowling al lavoro certosino dei suoi traduttori, e poi dei redattori, dei correttori di bozze e di tutte le figure professionali che orbitano intorno a una casa editrice, e che contribuiscono a trasformare un documento di Word ancora pieno di difetti in un volume rilegato.

E a proposito di documenti di Word: è dall’estate scorsa che in internet ne girano parecchi, di questi documenti Word. Magari alcuni dei presenti in questa sala hanno partecipato a una delle tante imprese di traduzione fai-da-te via internet (non alzate la mano però, altrimenti vi arrestano). Per chi non lo sapesse: siccome tra l’uscita del libro in inglese e la mezzanotte di stasera sono passati sei mesi, qualcuno si è stufato di aspettare. E così, già poche settimane dopo l’uscita del libro in inglese, sono apparse traduzioni pirata, da scaricare illegalmente come si scaricano film o musica. Al di là del fatto che la pratica in sé è illegale, e non va condonata, però mi è sembrato un esperimento interessante.

Anzitutto ci sono quelli che si imbarcano in un’impresa simile pur non sapendo una parola d’inglese. E voi direte: come fanno? Semplice, vanno su Babelfish, che è un traduttore automatico via internet. I risultati naturalmente sono di una comicità involontaria che vi lascio immaginare, per cui Harry Potter diventa “Enrico il Vasaio” eccetera.

D’altronde un paio d’anni fa era stato tradotto con Babelfish anche il sito ufficiale del governo italiano, per cui mi sa che c’è proprio poco da ridere.

Però poi ci sono anche i ragazzi di quindici o sedici anni che si sono messi al computer e hanno tradotto davvero Harry Potter. E l’hanno tradotto bene. E a me, che ho letto alcune di queste traduzioni con grande piacere, sembra bello concludere questo mio intervento su una nota positiva: che se questi ragazzini torneranno sulla retta via della legalità, nei prossimi venti o trent’anni forse in Italia leggeremo libri tradotti molto meglio.