ilariakaterinov: Intervista per la Guida HP di Supereva

Marina Lenti, guida Harry Potter per il portale SuperEva/Dada, mi ha intervistata. Riproduco per sua gentile concessione il testo completo.

1. Ilaria, come nasce l’idea di questo saggio?

Qualche anno fa ho seguito corsi di teoria e pratica della traduzione letteraria nell’ambito di un master in editoria. Per uno di questi esami avevo scelto come argomento della tesina la traduzione italiana di Harry Potter (all’epoca erano usciti in italiano solo i primi cinque libri). Mi sono accorta ben presto che le poche pagine di una tesina non potevano rendere giustizia a un tema così vasto: sarei stata costretta a compilare un semplice catalogo di errori, senza riuscire ad analizzare la traduzione nel suo complesso, compresi i suoi punti di forza.

Così, quando in seguito ho inserito il testo della tesina sul mio sito, mi sono ripromessa di aggiornarla quanto prima, ampliandola agli ultimi due libri e magari rielaborandola in un linguaggio meno tecnico, più adatto al grande pubblico. Ma prima che io riuscissi a trovare il tempo per mettermi al lavoro, mi è arrivata un’email dalle ragazze di Camelopardus…

2. Raccontaci del tuo rapporto con la Camelopardus? Vuoi parlarci di questa giovane realtà?

Camelopardus è attiva da un paio d’anni, ed è probabilmente la casa editrice più piccola del mondo! È stata fondata da due amiche, appositamente per pubblicare in traduzione italiana un romanzo francese, Le Zèbre di Alexandre Jardin, un giovane scrittore all’epoca sconosciuto in Italia. Così è iniziata l’avventura: le due amiche, ciascuna con un lavoro, bambini piccoli e una casa da mandare avanti, si sono imbarcate nell’ardua impresa di gestire una casa editrice. Quest’anno hanno pubblicato un romanzo italiano, La compagnia del somaro sdraiato di Marina Bacchiani Dalla Spezia, una sorta di fantasy comico: una proposta molto originale nel panorama editoriale del nostro paese. Il Somaro ha dato avvio alla collana “I Draghi”, in cui è stato inserito anche il mio libro. Quindi, come vedi, già all’inizio della sua avventura la Camelopardus offre un catalogo variegato, fatto di narrativa “di genere” e non; e da oggi si tuffa (ci tuffiamo!) nel difficile mondo della saggistica.

Insomma: come accennavo, un bel giorno di fine estate mi è arrivata un’email in cui la Camelopardus mi proponeva di trasformare la tesina in un libro; naturalmente questo non solo imponeva di aggiornare il testo al Principe mezzosangue, ma soprattutto richiedeva una rielaborazione completa del materiale di partenza. La tesina originaria era un testo molto tecnico e sintetico: la mia prima preoccupazione è stata quella di renderlo fruibile a un pubblico più vasto, adattando lo stile e la terminologia e inserendo molti più esempi concreti. E poi, naturalmente, ne ho approfittato per ripensare il mio giudizio complessivo sul lavoro di traduzione svolto in Salani, cercando di sottolineare i tanti aspetti positivi e le invenzioni geniali – una su tutte: la parola “babbano” – anche in confronto alle traduzioni in altre lingue.

3. Il materiale linguistico da esaminare è molto eterogeneo: dalla semplice resa di certi nomi alle disomogeneità su uno stesso termine operate dalle varie traduttrici… Con che criterio hai messo in ordine questa vastità?

I criteri sono molteplici e in parte si sovrappongono: ho cercato di organizzare l’esposizione in un certo numero di aree tematiche. Nel primo capitolo per esempio mi concentro sulle traduzioni dei nomi propri di persona e di luogo, mentre un altro capitolo è dedicato alle incongruenze e alle disomogeneità tra un libro e l’altro. Per fare un esempio: la traduzione di Crumple-Horned Snorkack con Ricciocorni Schiattosi è davvero geniale; peccato però che nello stesso romanzo (il quinto) gli Snorkack siano chiamati anche Snorticoli cornuti…

E poi: ho trovato particolarmente interessante occuparmi dei giochi di parole e delle frasi idiomatiche; proprio perché, essendo anch’io traduttrice, ero consapevole delle difficoltà spesso insormontabili che pone ai traduttori la rigogliosa inventiva linguistica di un autore come la Rowling. Non sarà difficile come tradurre James Joyce o Virginia Woolf; ma se c’è una cosa che ho imparato da tutta quest’avventura è: mai sottovalutare le difficoltà traduttive poste da un autore “popolare” (sia detto fra molte paia di virgolette), soprattutto quegli autori che, come JKR, creano dal nulla un mondo narrativo di fantasia che può essere descritto solo facendo largo uso di neologismi.

Mi è parsa cruciale anche la questione della varietà linguistica, sia nel senso della varietà di registro (Silente non parla come Stan Picchetto, né a livello di grammatica e sintassi, né tantomeno a livello di vocabolario), sia anche per quanto riguarda i dialetti e la resa grafica dei diversi accenti con cui i personaggi parlano inglese. Questo è forse il problema più serio, perché in traduzione quella varietà linguistica si perde completamente, e in sostanza tutti i personaggi parlano un perfetto italiano. E anche quando non è così – pensiamo al modo di parlare di Hagrid, o al marcato accento francese di Fleur – il risultato è un po’ innaturale, e non rende giustizia all’originale.

Quattro traduttrici hanno lavorato su Harry Potter nel corso degli anni; e già questo basterebbe a spiegare molte disomogeneità. Ma un punto su cui ho voluto insistere (prima di tutto alla luce della mia personale esperienza da ambo i lati della “barricata” editoriale: sono stata redattrice di traduzioni altrui e ora sono traduttrice in prima persona) è il fatto, probabilmente poco noto ai non addetti ai lavori, che pubblicare un libro richiede una vera e propria “catena di montaggio”: il lavoro del traduttore è solo la prima fase, a cui seguono varie riletture in casa editrice, e poi vari giri di correzione delle bozze. In ciascuna di queste fasi possono essere apportate modifiche anche consistenti al testo italiano. E un testo rivisto in successione da più persone non può che rappresentare la somma delle loro personali sensibilità culturali e linguistiche. Insomma: è inutile giocare ad attribuire qua e là la colpa di ogni errore; ma può essere interessante riflettere su quando, come e perché quel delicato meccanismo collaborativo (autrice – traduttori – redattore – editor – correttori di bozze) si è interrotto.

4. Sappiamo che spesso un termine che nei romanzi è stato tradotto non lo è stato invece nel ‘Quidditch Attraverso i secoli’ e negli ‘Animali fantastici: dove trovarli’. Il tuo libro si occupa anche delle terminologie adottate in questi due volumetti o solo sui romanzi?

Sì, me ne occupo soprattutto per quanto riguarda le incongruenze nei nomi di oggetti e animali fra i due volumetti e i romanzi. Incongruenze ancor più curiose, dal momento che i due libricini sono stati tradotti dalla stessa persona che si è occupata degli ultimi quattro romanzi.

5. Hai un’opinione sul perché Salani non abbia puntato a fare un lavoro di traduzione più omogeneo? (per es. Fretta, difficoltà intrinseca nell’organizzare un glossario, costi…)

Forse sono entrati in gioco tutti questi fattori. Il problema dei costi probabilmente non è il più rilevante; senz’altro, un “indice dei nomi” a uso interno della casa editrice non sarebbe costato più di un normale indice analitico, e gli editori di solito affidano questo tipo di lavoro a redattori giovani, collaboratori esterni o stagisti… insomma, dirò solo che sono certa che per la Salani non sarebbe stato un esborso gravoso. Credo che la fretta sia stata il problema fondamentale; oltre al gran numero di persone coinvolte, alla scelta di non affidare l’intera saga a un solo traduttore, e naturalmente al fatto che Salani è una realtà editoriale piccola, anche se inserita in un grande gruppo; e con le poche risorse umane a sua disposizione deve seguire un catalogo abbastanza corposo. C’è poi da dire che la letteratura per l’infanzia e l’adolescenza è il fanalino di coda dell’editoria italiana, a differenza di altri paesi come Gran Bretagna e Francia. Ed è un peccato, perché i libri che leggiamo a tredici o quattordici anni sono i libri che ci segnano per sempre.

6. Il tuo è un titolo particolare ma insolitamente lungo, laddove invece gli editori tendono a scegliere soluzioni più brevi e immediate. Come mai una scelta così ‘controcorrente’?

Di solito la scelta del titolo spetta all’editore, ma nel nostro caso l’abbiamo concordato insieme. Non ci sembra che un titolo lungo sia in sé una scelta poco commerciale; ci premeva trovare un titolo originale e simpatico, ma soprattutto strizzare l’occhio ai fan con il riferimento al più celebre degli errori di traduzione: il “locket” conservato a Grimmauld Place 12, che per la fretta era stato tradotto con “lucchetto” anziché “medaglione” o “ciondolo” nella prima edizione dell’Ordine della fenice. L’errore ha avuto conseguenze tali, nei libri seguenti, da imporre all’editore di modificare la traduzione nelle ristampe successive: negli anni sono state fatte parecchie correzioni del genere in tutti e sei i romanzi, come spiego nel libro. Il fatto poi che nel titolo compaiano anche le parole “babbano” e “magico” ha naturalmente lo scopo di chiarire subito al lettore di cosa tratta il volume. E direi che il sottotitolo è abbastanza esplicativo: “Harry Potter in italiano: le sfide di una traduzione”. Certo non nego che, vuoi per il titolo lungo e vuoi per il mio cognome straniero, qualche libraio potrà restare perplesso… ma speriamo di no!

7. Com’è strutturato il volume? Guidaci attraverso una sorta di indice

Dopo un’introduzione di carattere metodologico, in cui inquadro il problema e giustifico le scelte fatte, il libro si articola in cinque capitoli. Come accennavo, il primo capitolo è dedicato ai nomi propri: quali sono stati tradotti e quali no, e la curiosa circostanza per cui alcuni nomi inglesi sono trasformati in nomi italiani, mentre alcuni sono sostituiti con altri nomi inglesi, presumibilmente più facili da pronunciare e ricordare. Scopriamo che non è stato adottato un criterio univoco, e che anzi tra un romanzo e l’altro si riscontrano atteggiamenti molto variabili rispetto alla necessità di tradurre i nomi propri. Era proprio necessario tradurne così tanti?

Il secondo capitolo è dedicato ai giochi di parole e ai tanti anagrammi che compaiono nella storia, a volte giocando anche un ruolo non indifferente nella trama (pensiamo soltanto a “Tom Orvoloson Riddle” – “Son io Lord Voldemort”!). In questa sezione mi occupo anche dei neologismi, che come sappiamo sono tantissimi e devono aver dato grattacapi non indifferenti alle traduttrici.

Nel terzo capitolo sono esaminati gli errori di traduzione veri e propri, compresi i “falsi amici” tra inglese e italiano e i banali refusi dovuti alla fretta con cui sono stati tradotti i libri. Naturalmente, dedico un’attenzione particolare all’annosa questione della parola “Mezzosangue”, che traduce le parole inglesi Half-Blood e Mudblood generando ogni sorta di confusione nel lettore italiano.

Il quarto capitolo tratta la questione degli accenti e dei dialetti, di cui parlavo poco fa. Cerco di capire in che modo poteva essere resa in italiano la differenza tra la lingua standard e la parlata tutta speciale di Hagrid, Mundungus Fletcher e (a volte) Ron Weasley e i gemelli. E naturalmente dedico qualche pagina all’analisi dell’inglese parlato da personaggi stranieri, come Viktor Krum e Fleur Delacour, e di come le loro imprecisioni nell’uso della lingua inglese si traducano in analoghi errori di italiano.

Il libro si chiude con quella che potrebbe sembrare una digressione, ma che a me pare esemplificativa – per certi versi – di quanto è accaduto con la traduzione italiana: il fatto cioè che i libri di Harry Potter siano così profondamente radicati nella cultura britannica da aver bisogno di una “traduzione” già solo per essere esportati in America. Nel quinto capitolo, dunque, andiamo alla ricerca delle differenze tra l’edizione inglese e quella statunitense, scoprendo che l’edizione americana è costretta a operare qualche rinuncia: il che forse ci consola un po’ quando pensiamo a quanto perdono i lettori della traduzione italiana rispetto al testo originale di J.K. Rowling. In ultimo, spendo qualche parola sulle illustrazioni e le copertine, confrontando i disegni di MaryGranPré per l’edizione Scholastic con quelli di Serena Riglietti per la Salani.


8. Per finire, una domanda generale sulla saga: pregi e difetti secondo te e il tuo libro preferito…

È molto difficile, ormai, dire qualcosa di originale su Harry Potter… Dirò solo che a mio giudizio il grande merito di J.K. Rowling è quello di essere riuscita a coniugare un successo commerciale senza precedenti con un certo valore letterario intrinseco (benché in molti si ostinino a negarglielo). La Rowling dipinge un’amara parodia del nostro mondo, riesce a dirci qualcosa su noi stessi rielaborando archetipi universali in maniera non banale. Trovo particolarmente affascinante la coesistenza dei due mondi, quello magico e quello babbano; e il fatto che le abilità magiche non siano solo un dono della natura, ma vadano coltivate con uno studio approfondito e a volte assai faticoso: mi pare un messaggio molto educativo per i ragazzi e non solo. Come anche, del resto, il forte richiamo alla tolleranza che pervade questi libri: dalla condanna del razzismo – esemplificata nel tema dei mezzosangue e dell’odio contro i babbani, ma anche nell’“handicap” di Remus Lupin – alle trasparenti metafore politiche; dalla lotta di Hermione per affrancare gli Elfi dalla schiavitù, alle ultime rivelazioni sui sentimenti e la profonda umanità di Albus Silente. Harry scopre ben presto – e il lettore con lui – che essere maghi o babbani conta poco, alla fine: siamo tutti esseri umani, con gli stessi limiti e le stesse tentazioni.

Difetti? Forse JKR potrebbe limare un po’ lo stile, che a tratti diventa piatto. A volte pare quasi che l’amore per i suoi personaggi, la passione con cui segue la storia di Harry e Voldemort, vadano a scapito della cura per l’aspetto formale. Con tutta l’attenzione che dedica al linguaggio, a diversificare i registri linguistici, a coniare neologismi geniali, è un vero peccato che a volte la sintassi, la costruzione delle frasi, scada nella prevedibilità. E mi sembra che gli ultimi tre libri siano decisamente troppo lunghi; forse gli editori avrebbero dovuto insistere per qualche taglio in più. L’ordine della fenice, in particolare, mi è sembrato inutilmente lento.

Il mio libro preferito resta Il Prigioniero di Azkaban: un intreccio impeccabile, un mistery in perfetta tradizione britannica, che però ha anche molto da dirci sulla natura umana, sui temi della colpa e del perdono. Il terzo anno di scuola è il punto di svolta nella vita di Harry, il momento in cui inizia davvero a diventare adulto.