ilariakaterinov: Un brano da Lucchetti babbani e medaglioni magici
Un brano tratto dall’Introduzione, pp. 7-14
La magia viaggia in rete
I primi sei romanzi della serie Harry Potter hanno venduto 350 milioni di copie in tutto il mondo. Di queste, circa cento milioni non contengono una sola frase scritta da J.K. Rowling.
Quei cento milioni di libri sono il frutto del lavoro di altri scrittori: circa settanta traduttori che in questi anni si sono sobbarcati l’ingrato onere di rendere intellegibili ai propri connazionali libri così radicati nel contesto culturale britannico da risultare a volte intraducibili. Queste settanta persone hanno avuto un compito non invidiabile: mantenersi il più possibile fedeli al testo originale, e al contempo renderlo fruibile dal lettore non anglofono.
È l’eterno dilemma che affligge ogni traduttore: la tensione tra fedeltà ed effetto. La fedeltà, cioè, non si misura soltanto nella meccanica aderenza al testo originale: il testo tradotto dovrebbe tendere a riprodurre nel lettore lo stesso effetto di senso che l’originale produceva nel lettore madrelingua. Su questo filo sottile si gioca la tecnica e l’arte della traduzione. C’è chi dice che il traduttore dovrebbe mantenersi “invisibile”: ma, come vedremo, ci sono casi in cui un traduttore che vuol restare troppo “dietro le quinte” abdica alla sua responsabilità e finisce per tradire l’intenzione del testo.
Tutto ciò è doppiamente vero per Harry Potter, la cui traduzione presenta un certo numero di difficoltà peculiari. Anzitutto la sua natura di vero e proprio “caso” mediatico, oltre che editoriale. Harry Potter non è solo un bestseller: è testimonianza di una nuova modalità di relazione tra libro e lettore, fra editori e pubblico.
Harry Potter è nato insieme a internet. I primi romanzi della serie sono usciti alla fine degli anni Novanta, cioè proprio in corrispondenza della diffusione dell’accesso a internet in Europa e Nordamerica, e progressivamente in altre aree del pianeta. La serie ha riscosso un successo immediato in patria, mentre soltanto dopo l’uscita del terzo libro, Harry Potter and the Prisoner of Azkaban, la sua fama ha iniziato a diffondersi oltreoceano e nel resto del continente europeo.
Perché i primi due libri, pubblicati contemporaneamente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti (e con leggero ritardo nei vari paesi europei), non hanno incontrato subito il favore del pubblico? La risposta è forse da ricercarsi nel grande potere del passaparola telematico: più di qualsiasi operazione di marketing ha potuto l’azione, lenta all’inizio ma in progressiva e costante crescita, dell’enorme comunità di fan che, in tutti i continenti, si è aggregata intorno a questo fenomeno letterario prima, cinematografico poi. Già dalla fine degli anni Novanta sono sorti da ambo le sponde dell’Atlantico siti internet dedicati alle avventure di Harry: nati come piccoli siti amatoriali, the-leaky-cauldron.org, mugglenet.com e altri, e i relativi forum di discussione, sono diventati con gli anni veri e propri portali, con un bacino di utenti amplissimo e molto variegato, per età e provenienza geografica.
Non è un caso, allora, che i fan, abituati a scrivere e leggere fanfiction su internet e a discutere all’infinito ogni dettaglio delle loro teorie nei forum, abbiano deciso di occuparsi in prima persona delle traduzioni. Ogni nuovo volume della serie ha richiesto alcuni mesi di lavoro ai traduttori ufficiali delle varie lingue; e l’edizione italiana, targata Salani, è invariabilmente fra le ultime a essere pubblicate, con tempi medi che si aggirano intorno ai cinque mesi. Molti fan non sono disposti ad attendere così a lungo: e in particolare per gli ultimi due libri si è assistito a un proliferare di traduzioni amatoriali pubblicate su internet o scambiate attraverso i circuiti peer-to-peer.
Senza arrivare a casi limite come quello della Cina, dove le traduzioni amatoriali sono stampate, rilegate e vendute agli angoli delle strade, anche in Occidente i fan si sono mostrati impazienti e hanno iniziato a muoversi in autonomia. Nell’agosto 2007, un ragazzo francese è stato denunciato dalla casa editrice Gallimard per aver messo online la sua traduzione dei primi capitoli: la notizia ha creato un certo scalpore sui media internazionali, puntando i riflettori su un fenomeno che in realtà va avanti da almeno quattro-cinque anni. Nulla di così drammatico è accaduto ai ragazzi che si sono improvvisati traduttori di Harry Potter nel nostro paese: a parte un caso piuttosto eclatante di diffida da parte della Siae, al momento in cui scriviamo queste righe la situazione appare tranquilla, e in internet girano varie versioni italiane del settimo libro, gran parte delle quali sono il risultato di un lavoro collettivo, in cui trenta o più persone hanno tradotto un capitolo a testa. Non sono mancati casi di pseudo-traduzioni in cui i fan, per accelerare i tempi, si sono avvalsi di traduttori automatici, computerizzati: il risultato, naturalmente, seppur frettolosamente riletto e sistemato, lascia comunque molto a desiderare quanto a stile, grammatica e sintassi. Altri siti si sono limitati a tradurre alcuni brevi dialoghi e passi descrittivi, riassumendo il resto: in questo modo sono potuti restare nell’ambito della legalità, permettendo comunque a chi non parla inglese di farsi un’idea pur vaga del contenuto del libro.
Cosa spinge ragazzi di quindici o sedici anni, magari con una conoscenza dell’inglese alquanto limitata, o comunque scolastica, a imbarcarsi in un’impresa simile? Senz’altro la frustrazione per i tempi lunghi richiesti per la traduzione. Cerchiamo di capire allora da cosa possano essere determinati i ritardi. Anzitutto, a differenza di quanto accade con molti libri an- glosassoni, i traduttori di Harry Potter possono iniziare il loro lavoro solo al momento dell’uscita dell’edizione inglese e americana. La segretezza che, fino al luglio 2007, circondava la trama di questi libri era tale che, fino a un minuto prima della pubblicazione, solo a una decina di persone era consentito prendere visione del testo. Gli editori stranieri, e i traduttori che lavorano per loro, non rientrano nell’esigua schiera di questi fortunati.
Va detto poi che J.K. Rowling non collabora con gli editori stranieri, neanche con quelli che pubblicano in lingue che lei conosce (francese e portoghese, per esempio). La Rowling, il suo agente letterario, gli editori in lingua inglese e la Warner Bros (che detiene i diritti sui personaggi, e dunque in teoria avrebbe un certo interesse a che i nomi non fossero cambiati nelle varie traduzioni, nell’ottica delle proprie esigenze di marketing) non hanno mai – a quanto ci è dato sapere – fornito indicazioni di alcun genere sui criteri da seguire per la traduzione. C’è poi un problema di tempistica. Anche traducendo una ventina di pagine al giorno – e sono tante – un singolo traduttore ha bisogno di almeno un paio di mesi per completare le 600 pagine che compongono in media un romanzo di Harry Potter. Beatrice Masini ha dichiarato di aver lavorato “un po’ più di due mesi” alla traduzione dell’Ordine della Fenice. E nell’ottobre 2000, i giornali di tutto il mondo riportarono la notizia che il traduttore francese, Jean François Menard, si era sottoposto a un vero tour de force, traducendo le 1081 pagine di Harry Potter e il calice di fuoco in soli sessantatré giorni, al ritmo di dieci ore consecutive di lavoro al giorno.
E questo è solo l’inizio del lavoro: la traduzione va poi riletta in casa editrice, rivista e confrontata con quelle dei libri precedenti per garantire l’uniformità, sottoposta ad almeno due giri di bozze per la correzione dei refusi; e infine stampata e distribuita nelle librerie.
La traduzione di un libro è quindi un lavoro di squadra: una vera e propria catena di montaggio. L’edizione italiana, uscita per i tipi della Salani a partire dal 1998, ha visto susseguirsi non meno di quattro traduttrici: Marina Astrologo per i primi due volumi (a lei si deve quindi la scelta della maggior parte dei nomi propri), Beatrice Masini per il terzo, il quarto e il sesto (e i due companion books, Il Quidditch attraverso i secoli e Gli animali fantastici: dove trovarli), la Masini in collaborazione con Valentina Daniele e Angela Ragusa per il quinto e più corposo episodio, Harry Potter e l’Ordine della Fenice. Ma, come abbiamo visto, non è dalla sola traduttrice che dipende l’esito del lavoro: molte paia di mani, molte sensibilità individuali intervengono nella redazione del testo. L’ultima parola spetta al redattore, che può accogliere o meno i suggerimenti dei correttori. Quindi, quando in questo libro parleremo delle scelte compiute dalla traduttrice, il termine va inteso a ricomprendere tutte le figure professionali che sono intervenute nelle decisioni.
Operazioni, queste, che richiedono tempo; eppure si è assistito sistematicamente a strategie di lavoro divergenti fra l’editore italiano e quelli di altri paesi, che hanno condotto a differenze anche di tre mesi nelle rispettive date di pubblicaione. L’immane fatica del traduttore francese, per esempio, ha dato i suoi frutti: le edizioni francesi – la cui qualità è universalmente riconosciuta, e che sono pubblicate dal più prestigioso marchio d’oltralpe, Gallimard – appaiono regolarmente in libreria a circa tre mesi di distanza dall’uscita in lingua originale (sempre avvenuta tra giugno e luglio). La Salani invece ha adottato una politica diversa, e con la sola eccezione del quinto libro ha sempre atteso fin dopo Natale. La traduzione del quinto è stata affidata a tre persone, il che ha permesso di far uscire il libro la notte di Halloween del 2003, anziché, come d’abitudine, all’inizio dell’anno successivo; ma con tutta probabilità l’uniformazione dello stile e delle scelte traduttive di tre persone avrà richiesto un surplus di lavoro redazionale in casa Salani. Evidentemente l’editore non era soddisfatto del risultato, perché il sesto libro - che peraltro era più breve del quinto, anche se di poco – è stato affidato nuovamente alla sola Beatrice Masini. Sennonché, come vedremo dagli esempi proposti nei vari capitoli di questo libro, la traduzione del sesto romanzo è, nel complesso, riuscita meno bene di quella del quinto.
Dunque, quando la Salani ha annunciato che anche il settimo volume, Harry Potter and the Deathly Hallows, non sarebbe uscito in italiano prima dell’Epifania 2008, la reazione dei fan non è stata delle più concilianti. Alle proteste pervenute in casa editrice – persino sotto forma di lettere contenenti piume, in seguito all’iniziativa coordinata di alcuni siti gestiti da fan – la Salani ha così risposto dalle pagine del sito ufficiale:
Realizzare un libro non è produrre un gadget ed Harry Potter non è un prodotto di consumo. [...] I libri veri non sono soggetti alle mode, e lavorare coi libri ci ha insegnato che la pazienza, la concentrazione, la cura dei dettagli e il tempo sono ancora dei valori, e per sempre. È per questa ragione che non abbiamo voluto spezzettare il testo del settimo libro di Harry Potter e affidarlo a più traduttori, con rischi che ben si possono immaginare, come ipotizziamo stia avvenendo all’estero, e in particolare in quei Paesi dove la grande diffusione dell’inglese ha costretto gli editori a comprimere i tempi di traduzione per esigenze di mercato.
È vero che l’uscita di una traduzione è più urgente in quei paesi, come quelli del Nord Europa, in cui quasi tutti i ragazzi hanno un ottimo livello di conoscenza dell’inglese: altrimenti l’editore rischia di perdere l’interesse dei lettori, che si sono già potuti godere il libro in inglese. Purtroppo, in Italia sono in pochi ad avere le competenze necessarie per leggere un intero romanzo in lingua straniera. Ma, ripetiamo, non ci sembra che l’esperimento tentato nel 2003, e consistito appunto nello “spezzettare” il libro affidandolo a più traduttori, abbia determinato un abbassamento della qualità complessiva del lavoro. E soprattutto, non risulta che i lettori di altri paesi si siano lamentati della qualità delle loro traduzioni con la veemenza che ha caratterizzato la reazione dei lettori italiani. Prosegue il comunicato Salani:
Quanto a chi ci accusa di operazioni di marketing e di speculazione, guadagneremmo sicuramente di più a pubblicare il settimo e ultimo volume di Harry Potter nel più breve tempo possibile…
Senz’altro vero; è anche plausibile, tuttavia, che un’uscita in “bassa stagione” (dopo Natale) possa rivelarsi favorevole all’editore, consentendo vendite altissime in un periodo in cui gli italiani frequentano meno le librerie. Resta da capire se ne vale la pena, in termini di immagine: la percezione da parte del pubblico potrebbe essere condizionata dalla consapevolezza che l’edizione italiana esce buon’ultima, dopo quelle di moltissimi paesi anche non occidentali.
Ci uniamo inoltre alla protesta per l’azione di ‘spoileraggio’ (nuovo termine entrato nella comprensione dei fan di Harry Potter dopo l’uscita di questo settimo volume) da parte dei media. D’altra parte il gusto della sorpresa è stato rovinato persino ai lettori di lingua inglese. Ci preme però sottolineare che il valore della scrittura di J.K. Rowling non si esaurisce nella trama, nella pura azione e nei colpi di scena.
L’azione di “spoileraggio” è in realtà ben nota ai fan almeno dai tempi del quinto libro, se non prima. Solo ora la Salani pare accorgersene; ma i fan ricordano ancora con terrore gli spoiler sul sesto libro (compresa la morte di Silente) spiattellati sulle prime pagine dei giornali ancor prima che il Principe mezzosangue uscisse in Inghilterra. E in ogni caso, il rischio spoiler aumenta ogni giorno di più per i lettori italiani che hanno deciso di aspettare gennaio, visto che molti nostri connazionali hanno letto il libro in inglese o una delle mille traduzioni pirata. Se è vero che il gusto di leggere Harry Potter non si esaurisce nel gioco del “chi muore, chi sopravvive, chi sposa chi”, il fatto che molti siano stati già “spoilerati” non è comunque un buon motivo per ritardare la pubblicazione…